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Lo sguardo dei migranti nella tela di Hayez

Un piccolo libro su una delle tele del pittore che tanto ha dato a Milano: ci parla di profughi, rifugiati, richiedenti asilo Questa volta segnalo un piccolo libro che racconta un’immagine, un dipinto di Francesco Hayez (1791-1882), “I profughi di Parga”. È un olio su tela realizzato nel 1831 da Hayez – pittore che tanto ha lavorato a MIlano –  ed è conservato alla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. Il libro è stato scritto da Arianna Arisi Rota, una storica che insegna all’Università di Pavia, e si intitola semplicemente Profughi (Il Mulino, 124 pagine, 2023). È un libro costruito su un lavoro artistico dedicato allo sradicamento, alla condizione di chi fugge dal proprio paese per le guerre, la fame, la miseria, in cerca di una vita migliore. Tutto ciò, ci dice l’autrice, è rappresentato con grande forza nel lavoro di Hayez che ritrae i profughi di una vicenda specifica, storica: nel 1819 una piccola città greca viene ceduta dagli inglesi all’impero ottomano e diventa un caso che suscita un clamore internazionale. In Italia se ne occuparono attivamente anche Giovanni Berchet e Ugo Foscolo. Hayez ci mostra una scena con donne, uomini, bambini, anziani: attori di un dramma che, visto con gli occhi di oggi, è un dramma senza tempo, sempre attuale. I profughi di Hayez hanno gli stessi occhi di chi sbarca oggi sulle nostre coste o arriva da interminabili viaggi con ogni mezzo dalle terre a est. Gli occhi che vediamo nelle nostre città, smarriti, in cerca di aiuto, che ci guardano, che guardano i più che gli ignorano, e domandano ai pochi che li aiutano. Credo che il libro di Arisi Rota suggerisca anche un metodo; torniamo a osservare con attenzione le immagini che ci scorrono davanti e ritraggono i drammi della migrazione, anche quando riguardano persone che, per fortuna, sono arrivate salve. Cerchiamo i punti delle fotografie che ci avvicinano almeno un po’ alle loro vite, alle loro speranze, alle loro tragedie. Ci avvicineremo, almeno un po’, anche alla sensibilità di Hayez. Perché, come scrive l’autrice di questo prezioso libro, “il viaggio dei profughi, quello interiore, quello che non finisce mai, è tutto lì, nella tela di quasi due metri per tre. La scommessa di Hayez, fare pittura civile, è vinta.” Luigi Gavazzi

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L’Europa che respinge i migranti

Questo mese vorrei parlarvi di un mondo che conosciamo solo in piccola parte: il mondo dei migranti e di un libro importante che si occupa di loro e del modo con cui l’Europa e l’Italia li respinge. Il mondo dei migranti è fatto di persone che vediamo e magari incontriamo ogni giorno, persone diversissime, percorsi di vita a noi solo in parte noti: quando ascoltiamo i loro racconti frammentari, parziali; quando superiamo le barriere emotive, culturali e linguistiche che spesso ci separano. Il piccolo libro che vi suggerisco è molto eloquente già nel titolo “Respinti. Le sporche frontiere d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo”, di Duccio Fracchini e Luca Rondi, edito da Altraeconomia (192 pagine, 16 euro). È uno di quei libri che, come si dice, non le manda a dire: e ci racconta e spiega i destini comuni di donne, bambini, uomini che “la ricca Europa ha relegato ai margini dei propri confini e della storia.” Il lavoro ricostruisce con dati generali, analisi delle politiche degli Stati e storie di persone, la cosiddetta “strategia” dei paesi Ue, Italia compresa, per “difendere le frontiere” da chi lascia i propri luoghi in cerca di una vita migliore. È una strategia fatta di azioni e omissioni terribili, descritte dalle parole che usiamo quotidianamente, magari senza pensare cosa nascondono: “respingimenti”, “riammissioni”, “confinamenti”. Dietro c’è la “negazione del diritto di asilo, la vergogna dei campi, la violenza costantemente praticata nei confronti di persone inermi, costrette a vivere sospese e in condizioni inumane, a rischiare la vita nelle traversate, tra le dune, le onde, i boschi, la corrente dei fiumi e il filo spinato”. Le note di speranza del libro sono ancora una volta affidate all’impegno delle Ong, che salvano nel mare Mediterraneo e aiutano chi arriva dall’est sul percorso che passa dai Balcani; e ai volontari e “solidali”, singoli o organizzati in associazioni – come la nostra, e lo scrivo con una punta di orgoglio – che sostengono, soccorrono, aiutano nella vita quotidiana delle nostre città chi è arrivato fin qui. Il libro è arricchito da alcuni interventi di studiosi, avvocati, operatori di Ong. Per chi fosse interessato e voglia saperne di più, questo è l’indice dell’opera: PREFAZIONE L’asilo, da diritto a concessione di Gianfranco Schiavone Capitolo 1 Prima di partire. Un quadro d’insieme Capitolo 2 Polonia-Bielorussia. Cronaca di un attacco ibrido Capitolo 3 I migranti lungo la rotta balcanica.  Senza diritti nel cuore dell’Europa La tutela legale contro le riammissioni al confine orientale italiano: una questione aperta di Caterina Bove e Anna Brambilla Capitolo 4 Mare mortuum. Requiem per il Mediterraneo Capitolo 5 I confini interni. Buchi neri e morti dimenticati L’accanimento. I valori perduti dell’Europa di Maurizio Veglio Capitolo 6 Frontex is catching you! Il ruolo dell’Agenzia nella strategia Capitolo 7 Ucraina: chi paga di più la guerra Conclusioni Dentro e fuori. Tra ospitalità ed esternalizzazione, di Cristina Molfetta. Luigi Gavazzi

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L’Italia e la povertà

I dati Istat e un libro da poco uscito ci guidano in modo razionale ad affrontare una questione strutturale del nostro paese: la povertà. Il 15 giugno l’Istat ha pubblicato il report sulla povertà in Italia riferito al 2021. In sintesi i dati sono questi: -sono in condizione di povertà assoluta poco più di 1,9 milioni di famiglie (7,5% del totale da 7,7% nel 2020) e circa 5,6 milioni di individui (9,4% come l’anno precedente); -la povertà assoluta conferma dunque sostanzialmente i massimi storici toccati nel 2020, anno d’inizio della pandemia di Covid-19; -per la povertà relativa l’incidenza sale all’11,1% (da 10,1% del 2020) e le famiglie sotto la soglia sono circa 2,9 milioni (2,6 milioni nel 2020). Si tratta di cifre che confermano una strutturale e storica questione italiana, che non dovremmo mai dimenticare. Che non possiamo dimenticare anche quando prestiamo la cura come volontari alle persone in difficoltà. Non dimenticare la povertà significa per esempio non dimenticare che ci sono cause sociali della povertà che il più delle volte sono frutto di ingiustizie. Non dimenticarlo non solo ci rende più consapevoli ma  dovrebbe aiutarci a orientare anche il nostro agire, a piccoli passi, verso la costruzione di una società più giusta. Aiutare una persona in difficoltà così potrebbe diventare un gesto di vera compassione, di partecipazione e azione solidale, con un orizzonte politico, nel senso alto del termine “politico”. Nel frattempo, per aumentare questa consapevolezza, suggerisco la lettura di un libro uscito nel maggio di quest’anno e scritto da Chiara Saraceno, David Benassi ed Enrica Morlicchio, “La povertà in Italia. Soggetti, meccanismi, politiche” (Il Mulino). Nel libro il fenomeno povertà viene analizzato come una questione a più dimensioni e collocata nel contesto europeo. Nel nostro paese sono coinvolti fattori come la crescente precarietà del mercato del lavoro, i bassi tassi di occupazione femminile, la frammentazione e l’eterogeneità del sistema di protezione sociale, la scarsa e diseguale disponibilità di servizi di conciliazione famiglia-lavoro, le forti differenze territoriali. Suggerisco in particolare l’attenzione su uno dei capitoli, il quinto, nel quale vengono focalizzati alcuni problemi che incontriamo nelle strade e nell’assistenza quotidiana a chi si rivolge alle associazioni di volontariato: il cosiddetti lavoratori poveri, i minorenni e i migranti categorie che davvero occupano quel che gli autori definiscono il “centro del regime di povertà”. Luigi Gavazzi

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L’Ucraina e l’immaginazione morale che serve per vedere anche chi è vicino a noi

Anche noi ci occupiamo della guerra. La terribile guerra di aggressione all’Ucraina da parte dell’esercito russo. Vorrei però guardare alle vittime riflettendo sull’immaginazione necessaria per dare al nostro sguardo uno sfondo morale che sappia vedere con chiarezza dove a volte gli occhi degli altri ci sfuggono. In guerra vediamo, grazie alla tv e ai social network, soprattutto i corpi. Sono i corpi straziati degli uccisi, quelli vulnerabili dei feriti, e dei profughi affamati e infreddoliti. I corpi sofferenti degli ucraini in fuga li vediamo anche nelle nostre città, accogliamo i rifugiati con amore e cura. Ma osservando questi bambini, queste donne e questi uomini avvertiamo un disagio: sono corpi con occhi pieni di paura e desiderio. E il disagio è il frutto di una consapevolezza: sappiamo che non sono diversi dai corpi e dagli occhi dei siriani, degli afghani e degli eritrei o dei ghanesi, degli etiopi o dei bengalesi che sono fuggiti dal loro speciale e particolare terrore, dalla loro universale paura della fame o della morte. O dai corpi di chi da anni è stato escluso (o si è sottratto per un caso della vita) dalla vita sociale. La tragedia dell’Ucraina potrebbe dunque aiutarci a ricordare anche i corpi di uomini, donne e bambini che da mesi, da anni sono vicinissimi a noi. Li vediamo agli angoli delle nostre vie, sotto i porticati del centro, davanti alle mense dei poveri, negli ambulatori delle associazioni di volontariato come la nostra. Dovremmo usare quella che la filosofa Laura Boella chiama “immaginazione morale” nel suo bellissimo libro del 2012, “Il coraggio dell’etica. Per una nuova immaginazione morale” (Raffaello Cortina Editore). L’immaginazione ci serve per ascoltare le loro storie, per vedere, almeno per qualche minuto, con i loro occhi; per capire cosa sperano e cosa desiderano; chi hanno lasciato, chi attendono. Se la speranza è ancora con loro o se in loro ha vinto lo sconforto e la delusione. Scrive Boella: “Il lavoro dell’immaginazione ha i tratti dell’esplorazione e insieme quelli dell’esercizio di attenzione, dello scrutare un particolare e metterlo in costellazione con altri elementi, anche disparati. La sua qualità “pittorica” o figurativa, il suo peculiare uso del linguaggio, delle metafore, la predilezione per le storie e per i racconti che ognuno costruisce (o legge o ascolta) sul mondo e sulla vita propria o altrui, il suo irrequieto rapporto con la realtà, libero da vincoli dei fatti e capace di comparazione, di guardare le cose da più lati, di effettuare passaggi tra piani diversi, consente di accedere alla realtà contingente con la capacità di distinguere, di sincronizzare elementi eterogenei, rendendo visibili cose che prima non lo erano”. Ecco, proviamoci. Luigi Gavazzi

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Contribuisci leggendo un libro!

Proponiamo a tutti i volontari ma non solo una breve e significativa lettura per cercare di capire più in profondità le persone che incontriamo in strada, la loro storia, i loro pensieri. “La colpa di non avere un tetto. Homeless tra stigma e stereotipi” questo il titolo del libro scritto da Daniela Leonardi, che ha voluto raccontare le persone senza dimora cercando di annullare pregiudizi e stereotipi, oltre mostrare come la loro condizione sia generata non da colpe personali, ma da politiche per il diritto all’abitare insufficienti e totalmente sparite dal dibattito pubblico. Passa in segreteria per prenderne una copia a fronte di un piccolo contributo libero. Ti aspettiamo in Via Bertoni, 9 (previa telefonata allo 0262545960) e….buona lettura!

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Quei fantasmi che non vorremmo guardare

Le nostre città, le nostre vie, sono piene di fantasmi. I fantasmi si possono ignorare, prevalentemente; oppure guardare di sfuggita, cercando di definirli, di collocarli in una delle categorie sociali che abbiamo a disposizione: tossicodipendente, alcolista, senza fissa dimora, malato di mente, ex carcerato, mendicante, migrante e così via, magari mischiando un po’ le varie definizioni. I fantasmi in genere ci lasciano in pace se decidiamo di ignorarli o di dimenticarli. Se invece cambiamo punto di vista e proviamo a parlare con un fantasma, proviamo ad ascoltarlo, scopriamo che i fantasmi non esistono. Sono semplicemente donne e uomini cacciati, sospinti, precipitati ai margini, nel gorgo delle vite stentate che ci sfiorano. Giuseppe Rizzo, giornalista di Internazionale, ci aiuta a guardarli negli occhi. Il suo libro si intitola con grande efficacia, “I fantasmi non esistono. Vite morti e miracoli che nessuno vede” (Mondadori, 2021). Usiamo spesso le parole “fantasmi” e “invisibili” per i poveri e gli emarginati, “probabilmente perché sono parole che assolvono chi guarda, spostando le responsabilità e il peso dello sguardo da chi osserva a chi è osservato. Mettono in moto un meccanismo simile a quello che fa pensare e dire che i poveri sono responsabili della propria povertà”. Rizzo, nello stile del reportage narrativo, racconta – senza retorica e molta partecipazione – storie di persone fragili, scivolate ai margini della società, ignorate: a cominciare dai più deboli, coloro che vivono per strada, in inverno con il freddo e nelle estati caldissime. Ma ci racconta, spesso lasciando parlare protagonisti e testimoni e stando loro molto vicino, anche di carcerati ed ex carcerati, di vite sempre al limite delle violazioni della legge, o di un uomo morto di Covid senza che i suoi famigliari sapessero dove fosse finito. E ancora di un “senzatetto” polacco morto in una rissa con altri senzatetto. O del funerale di un povero. E ci ricorda di leggi scritte apposta per punire la povertà, di uno stato troppo spesso assente, e gli “alibi di chi parla di persone invisibili, di fantasmi”. Ma poi ci racconta anche dei miracoli. Di operatori sociali che dedicano ogni tipo di cura ad aiutare, di volontari, di medici, di attivisti e avvocati. Di riscatti, rinascite, speranze, di chi è tornato a prendere in mano, seppur con fatica, la propria vita. Leggete questo libro! Luigi Gavazzi

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