Esperienza

Esperienza

Social Delivery for Christmas: pasti caldi e tante emozioni

Approfittando della pausa lavorativa e universitaria durante il periodo natalizio, ho avuto la possibilità di dedicare qualche ora del mio tempo alla distribuzione dei pasti serali nelle vie di Milano, alle persone senza fissa dimora. Ho avuto la fortuna di effettuare questa nuova esperienza di “Social Delivery for Christmas” la vigilia e il giorno di Natale, e il servizio serale presso la mensa di Via Saponaro la sera di Capodanno, quindi in momenti speciali sia per noi che per i nostri amici. Con mio stupore le persone bisognose di un pasto caldo erano davvero molte, al punto che il giorno di Natale ad alcune di esse non siamo riusciti a servirlo. Durante la distribuzione dei pasti abbiamo incontrato persone anche ben vestite e con capacità di espressione forbita, che mantengono con cura accanto a sé i pochi beni a loro disposizione: materassi, vestiario, pentole, o quant’altro celi un nostalgico ricordo ai loro occhi. Persone delle quali, già dai primi incontri, si percepiscono le profonde ferite interiori. Costrette ad effettuare loro malgrado una scelta di vita così difficile. Che continuano a vivere questa loro esperienza come l’unica vivibile in questo momento. Che forse non capiscono se questa loro scelta sia consapevole e volontaria. Che magari pensano che non vi sia più spazio per loro in questa società così pronta a stritolare anime. Che forse non riescono ad imporsi di uscire da questo nuovo stile di vita, o forse semplicemente non vogliono abbandonarlo. Persone che mi hanno donato una forte emozione quando, rivedendoli per il pranzo di Natale, mi hanno riconosciuta e nei loro occhi si è acceso un bagliore che mi ha regalato una grande gioia nel cuore. Persone infreddolite in questo gelido inverno, ma profondamente vive nei loro sentimenti più nascosti. Persone che ci permettono di riflettere su come non possiamo imporre loro modelli che soddisfino le nostre esigenze, il nostro modo di vivere, le nostre abitudini, come purtroppo spesso accade; persone alle quali occorre dare fiducia, aiutarle a ritrovare un’identità e una dignità troppo spesso perse. La mia esperienza di distribuzione dei pasti serali si è completata con il servizio svolto la sera di Capodanno presso la mensa di Via Saponaro. Mi ha colpito profondamente come molte persone fossero anziane e senza nessuno che si occupasse di loro, ma che nonostante ciò (o forse proprio per questo) mostrassero uno spirito scherzoso e gioviale, che tradisce la loro gratitudine nell’essere accolti anche e soprattutto in questo periodo festivo. Sono stata inoltre contenta di apprendere che alcuni ospiti siano stati assunti dalla struttura di accoglienza, per svolgere attività interne. Effettuando questo servizio mi è anche sopraggiunta una riflessione sul come le persone incontrate casualmente possano donarti dei momenti di crescita, momenti che permettano di comprendere quanto nella vita quotidiana sia importante la semplicità e l’umiltà e l’essere meno critici sia verso gli altri che verso noi stessi. Jiulia Guglielmetti

Social Delivery for Christmas: pasti caldi e tante emozioni Leggi l'articolo »

Esperienza

Scuola d’italiano per donne straniere in QuBì Gratosoglio

Nell’ambito del progetto QuBì Gratosoglio, a metà Settembre ho accettato di curare, come volontaria della Scuola per stranieri dell’Associazione Fratelli di San Francesco, un corso di italiano per donne straniere, corso fortemente atteso dalle studentesse e partito in ritardo a causa dell’emergenza sanitaria. Abbiamo iniziato in presenza nell’Oratorio della Parrocchia Maria Madre della Chiesa dove ho conosciuto Suor Agnese, che insieme all’Associazione Piccolo Principe, ha avuto un ruolo importante nel promuovere sul territorio l’iniziativa. Ad inizio novembre a causa del secondo lockdown, il corso è proseguito a distanza, modalità ben accettata da tutte, anche se a volte ha generato alcune difficoltà (brillantemente superate in seguito). Nonostante la distanza siamo riuscite a creare una buona relazione caratterizzata da spontaneità, rispetto e confidenza. Ammiro molto la volontà e la determinazione con cui hanno frequentato il corso: è capitato di vedere qualche donna seguire la lezione e contemporaneamente con dolcezza e pazienza badare ai bimbi, che ovviamente non si possono mettere in “pausa”… La loro motivazione nasce dal desiderio di potersi muovere in autonomia sul territorio, socializzare, trovare un lavoro per contribuire al sostegno familiare: come non capirle? Le ringrazio di cuore del tempo trascorso insieme e faccio il tifo per loro perché possano raggiungere gli obiettivi desiderati: Forza Ragazze!!! Cinzia Conti Guarda l’intervista a Andreina De Franco, coordinatrice dei volontari della nostra Associazione e a Cinzia Conti, volontaria, realizzata da QuBì Gratosoglio

Scuola d’italiano per donne straniere in QuBì Gratosoglio Leggi l'articolo »

Esperienza

L’incontro

Una sera di novembre, quando il furgone dell’Unità mobile si è accostato al marciapiede, D. si stava pettinando, con cura: con la mano destra reggeva il piccolo pettine marrone scuro e con la sinistra lo specchio rotondo con il manico di plastica nera. Poi ha sorriso e ci ha salutati stringendoci forte le mani. “Siete in anticipo”, ci ha detto. “Finalmente la pioggia si è interrotta, domani però pioverà di nuovo; le mie coperte sono ancora umide, ma stanotte andrà meglio”, aggiunge, indicando la pila con un paio di materassi, un plaid scolorito e una pesante coperta marrone, un sacco a pelo. I sacchi di plastica e le borse del supermercato delimitano il “suo spazio” sotto la tettoia. “Hanno cercato di rubarmi dei vestiti”, racconta D., “per fortuna mi sono svegliato in tempo”. D. ha poco più di 50 anni, ha occhi azzurri profondi, un fisico ancora muscoloso, ricordo di un lavoro faticoso ma di precisione, un lavoro perso da qualche anno ma che ricorda con orgoglio. “Sono elettricista, lavoravo nei cantieri”. Qualcosa poi è andato storto, non dice mai cosa. Ma D. ha perso quasi tutto in pochi mesi. Il racconto, che abbiamo sentito più volte, si interrompe sempre a questo punto.  Questa “Unità mobile” è uno dei piccoli gruppi di volontari – quattro, cinque persone – della Associzione Fratelli San Francesco che ogni sera, a turno, in una zona diversa di Milano, incontra le “persone senza fissa dimora”, in coordinamento con le Unità delle altre associazioni di volontariato della città. D. conta su di noi, ci guarda negli occhi quando parla, sorride molto. E racconta il suo quotidiano vivere. L’altra sera ci ha raccontato che è riuscito a farsi una doccia ma che vorrebbe cambiarsi i pantaloni, che molti passanti quel giorno gli avevano lasciato pezzi di pizza e tanti biscotti, come se si fossero tutti messi d’accordo, che gli dolgono un braccio e una spalla. È dallo sguardo diretto di D., diretto, a turno, negli occhi di ciascuno dei volontari, che si capisce cosa significhi “contare” su di noi. Per noi volontari è una piccola e intensa gioia, che si rinnova ogni volta.  Avvertiamo, da quegli sguardi di D., come da quelli delle altre persone che incontriamo, che prendersi cura per qualche minuto di queste donne e uomini che vivono per strada significa soprattutto riconoscersi reciprocamente. Riconoscersi come esseri umani in una comunità civile. È un piccolo sforzo emotivo, psicologico e culturale per contrastare l’esclusione sociale, la solitudine forzata, la classificazione che semplifica e colloca le persone ai margini – quelle che troviamo a dormire sotto i porticati o sulle panchine dei parchi della città, che chiedono un aiuto sedute addossate al muro accanto a una vetrina luminosa – le colloca tutte dentro una definizione stereotipata: donne e uomini “senza”. Senza casa, senza lavoro, senza dignità, senza affetti. Invece no. Gli occhi di D. e gli occhi di molti con i quali i volontari delle notti milanesi entrano in contatto, i piccoli dialoghi, le brevi storie che ci raccontiamo, nel caldo afoso di luglio o nel gelido inverno, queste prove di conversazione sono le forme rappresentative – piccole ma concrete – di affetti, di frammenti di storie differenti, di speranze, di ricordi, anche di paure, di rabbia, di disperazione e rimpianti e sensi di colpa. Di un’umanità nella quale, appunto, per qualche minuto, misteriosamente ci riconosciamo tutti. Certo le notti dei volontari delle Unità mobili sono anche piene di persone che dormono all’angolo di una strada e che non svegliamo, di uomini devastati dall’alcol che non sollevano nemmeno la testa, di donne così rabbiose che ci scacciano in malo modo, di giovani così preoccupati di come sopravvivere che chiedono, pretendono con arroganza, una coperta e un paio di pantaloni e che quando ormai le ceste sono vuote, se ne vanno borbottando parole avvelenate. Lo sappiamo, sappiamo che non siamo per strada con la pretesa di “salvare il mondo” o di salvare anche solo qualcuno. Sappiamo che vivere da “senza fissa dimora” è un inferno che non è in nostro potere riscattare. Il nostro è un piccolo aiuto a queste persone ma è anche un grande regalo a noi stessi. Il riconoscimento, le parole, l’ascolto, incorniciano tutto il resto: il cibo che viene distribuito, il tè caldo, le giacche e le coperte, le indicazioni pratiche su come ottenere assistenza in città. E questo riconoscimento, che, è bene ribadirlo, è sempre riconoscimento reciproco, regala ai volontari, a ciascuno in modo diverso – nella consapevolezza del grande freddo sociale del quale non dimentichiamo mai cause e conseguenze – conoscenze ed emozioni che contribuiscono a dare più senso alla vita. Luigi Gavazzi

L’incontro Leggi l'articolo »

Torna in alto