Esperienza

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Guardaroba: l’esperienza degli scout

Siamo il Clan del gruppo scout Milano 3-88. Durante il triduo pasquale abbiamo avuto modo di prestare servizio presso il guardaroba della Casa della Solidarietà di Via Saponaro 40 a Milano. Ogni mattina, a gruppetti di quattro, ci siamo recati lì, dove siamo stati accolti caldamente e scherzosamente da Ola, la responsabile del guardaroba, che ci ha spiegato dettagliatamente quello che avremmo dovuto fare e ci ha guidato durante tutte le mattinate passate a lavorare presso la Fondazione Fratelli di San Francesco. Trascorrendo il tempo con lei a smistare vestiti ed entrando in contatto, anche se per poco, con la realtà della casa di accoglienza, abbiamo compreso l’importanza del ruolo di aiuto di fondazioni come Fratelli di San Francesco e di tutti i volontari, ci siamo resi conto di come sia fondamentale continuare a prestare servizio per aiutare il prossimo, visto il costante bisogno presente tra persone in difficoltà intorno a noi. Clan dell’Arco  

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Unità mobile: l’entusiasmo dei nuovi autisti

Le sincere testimonianze di due volontari che guidano l’Unità Mobile al lunedì sera. Sono due tassisti che fanno parte dell’Associazione Tutti Taxi per amore e che sono diventati nostri volontari da poco più di un mese. Ecco le testimonianze. Un lunedì diverso Sono Luciano dell’Associazione Tutti Taxi per amore – Milano, lunedì  sera ho iniziato la collaborazione con l’Associazione Fratelli di San Francesco, guidando  il pulmino dell’unità esterna che dà un aiuto concreto a chi vive per strada o ha gravi problemi di sostentamento. È stata un’esperienza molto interessante, la prima impressione è stata di un cerchio che si è chiuso; dopo la raccolta coperte e abbigliamento per l’emergenza freddo fatta qualche mese fa, toccare con mano concretamente dove finisce quanto abbiamo raccolto e cosa fanno i volontari dell’Associazione Fratelli di San Francesco è stato veramente molto toccante. Abbiamo  consegnato circa 40 sacchetti di cibo più qualche sacco a pelo e giacconi, un aiuto concreto a quelle persone che sembrano invisibili, ma che tali non sono. Parlare loro, guardarli negli occhi, ci fa capire come si possa dare un grande aiuto a chi è in difficoltà. Questo poco tempo che dedichiamo a chi è più sfortunato di noi, può sembrare solo piccole gocce, ma le gocce formano fiumi laghi e mari Luciano Un mondo nuovoIeri sera è stato il mio turno per la guida del pulmino con l’Associazione Fratelli di San Francesco. E’ stata veramente una bella esperienza conoscere un mondo a me completamente estraneo.Con i volontari abbiamo fatto tutta la zona centrale di Milano partendo da Pontaccio e finendo in piazza Meda.Ho incontrato persone di tutti i tipi: il signore che sa tutto sul calcio, con una sfilza di quotidiani al suo fianco, al suo vicino di 74 anni che tutti i giorni si allena con le flessioni e le trazioni per tenersi in forma.C’è l’avvocato, una persona molto a modo e molto educata ma con le scarpe rotte e la dialettica di una persona molto colta.Oltre a cercare con i volontari le persone in difficoltà, in alcuni casi erano proprio loro ad avvicinarsi a noi per chiedere cibo o vestiario. Per finire poi con la signora Giovanna, purtroppo caduta giorni fa, a fare due chiacchiere e a congedarci. Ieri sera c’era parecchio vento e il giro andava finito prima che tutti si addormentassero, ma sarei rimasto ad ascoltare per ore tutto quello che avevano da dire. Sono persone che hanno un’immensa voglia di parlare, di comunicare, di socializzare e di raccontare la loro vita. E’ stata una bellissima esperienza che non vedo l’ora di rifare al più presto.Fabio

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Comprensione e vicinanza: essere volontaria del Centro d’ascolto

Il Centro di Ascolto è un servizio dell’Associazione che accoglie persone con vari tipi di problematiche e le ascolta per capirne i bisogni, espressi o sottesi, con il fine di aiutarle o, meglio ancora, aiutarle ad aiutarsi. Più di un anno fa, precedentemente all’ondata Covid che ci ha colpiti, ci era stata segnalata una persona, che per comodità chiamerò C., che dormiva oramai da tempo in strada e si era resa disponibile a spiegare la sua situazione per farsi aiutare, cosa purtroppo non sempre accettata. C. era un uomo che aveva passato i 60 anni e che si presentava come una persona educata, vestita a modo, simpatica e spigliata.  Aveva vissuto per un po’ di tempo in un dormitorio dove, grazie alla sua socievolezza ed allegria, aveva fatto amicizia con tutto lo staff. Purtroppo però ad un certo punto, si era trovato nella condizione di dover tornare a vivere e dormire in strada. Le condizioni di vita nei dormitori non sono facili, in quanto si dorme con persone che non si conoscono, con caratteri che spesso e volentieri non coincidono. Vi sono poi persone che scambiano il giorno per la notte e inoltre è spesso sconsigliato lasciare i propri effetti personali incustoditi; non proprio come una casa quindi o comunque non come un posto dove sentirsi del tutto a proprio agio. Come si può dunque intuire, la vita in dormitorio non è affatto semplice e richiede un grande spirito di adattamento. Abbiamo cercato di identificare soluzioni disponili per sradicare C. dalla strada, trovando l’Associazione Effatà-Apriti, che aveva un piccolo appartamento disponibile su progetto. Ci siamo subito attivati per risolvere tutte le questioni burocratiche e dopo un breve periodo di attesa, necessario per le opportune verifiche, abbiamo avuto un riscontro positivo, con grande gratitudine espressa da C. e nostra immensa gioia. Se non avessimo potuto offrirgli questa soluzione, C. sarebbe dovuto rimanere a dormire per strada, con tutti gli imprevisti e i rischi che comporta! La sua sistemazione presso un alloggio l’ho percepita con grande soddisfazione, in quanto mi ha permesso di aiutare concretamente una persona. Purtroppo in questo periodo, come è giusto che sia per alcune fasce a rischio e per chi lo ritiene opportuno, molte persone non offrono più il loro servizio alla comunità per timore di contrarre il Covid, con il relativo rallentamento di alcune attività sia interne che esterne alla nostra Associazione, per non parlare di alcune attività che si sono addirittura fermate. Tale situazione non facilita l’identificazione della soluzione più congeniale da proporre alle persone alle quali viene offerta assistenza, che si rivolgono a noi tipicamente alla ricerca di alloggi, nuove opportunità lavorative e supporto per l’espletamento di attività burocratiche. Questo dà a volte un senso di impotenza nel raggiungimento di obiettivi realistici. In tale contesto ho apprezzato molto il gesto dell’Associazione di iscrivere i volontari “attivi” alla lista di vaccinazioni per il Covid, in modo da poter alleviare alcune nostre preoccupazioni. Mi auspico che questo periodo di chiusura finisca al più presto, in modo che si possano identificare ed offrire soluzioni concrete, similarmente a come era possibile durante il periodo pre-Covid. Personalmente ritengo infatti un concetto fondamentale e imprescindibile che le persone più agiate mettano a disposizione le loro capacità e, laddove possibile, parte dei loro averi per aiutare le persone meno fortunate di noi. Questa esperienza che sto vivendo presso il Centro di Ascolto la ritengo molto gratificante sia per quanto riguarda il mio percorso di crescita personale che professionale, in quanto mi permette anche di concretizzare una serie di esperienze legate agli studi universitari che sto effettuando. Julia Guglielmetti

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Social Delivery for Christmas: pasti caldi e tante emozioni

Approfittando della pausa lavorativa e universitaria durante il periodo natalizio, ho avuto la possibilità di dedicare qualche ora del mio tempo alla distribuzione dei pasti serali nelle vie di Milano, alle persone senza fissa dimora. Ho avuto la fortuna di effettuare questa nuova esperienza di “Social Delivery for Christmas” la vigilia e il giorno di Natale, e il servizio serale presso la mensa di Via Saponaro la sera di Capodanno, quindi in momenti speciali sia per noi che per i nostri amici. Con mio stupore le persone bisognose di un pasto caldo erano davvero molte, al punto che il giorno di Natale ad alcune di esse non siamo riusciti a servirlo. Durante la distribuzione dei pasti abbiamo incontrato persone anche ben vestite e con capacità di espressione forbita, che mantengono con cura accanto a sé i pochi beni a loro disposizione: materassi, vestiario, pentole, o quant’altro celi un nostalgico ricordo ai loro occhi. Persone delle quali, già dai primi incontri, si percepiscono le profonde ferite interiori. Costrette ad effettuare loro malgrado una scelta di vita così difficile. Che continuano a vivere questa loro esperienza come l’unica vivibile in questo momento. Che forse non capiscono se questa loro scelta sia consapevole e volontaria. Che magari pensano che non vi sia più spazio per loro in questa società così pronta a stritolare anime. Che forse non riescono ad imporsi di uscire da questo nuovo stile di vita, o forse semplicemente non vogliono abbandonarlo. Persone che mi hanno donato una forte emozione quando, rivedendoli per il pranzo di Natale, mi hanno riconosciuta e nei loro occhi si è acceso un bagliore che mi ha regalato una grande gioia nel cuore. Persone infreddolite in questo gelido inverno, ma profondamente vive nei loro sentimenti più nascosti. Persone che ci permettono di riflettere su come non possiamo imporre loro modelli che soddisfino le nostre esigenze, il nostro modo di vivere, le nostre abitudini, come purtroppo spesso accade; persone alle quali occorre dare fiducia, aiutarle a ritrovare un’identità e una dignità troppo spesso perse. La mia esperienza di distribuzione dei pasti serali si è completata con il servizio svolto la sera di Capodanno presso la mensa di Via Saponaro. Mi ha colpito profondamente come molte persone fossero anziane e senza nessuno che si occupasse di loro, ma che nonostante ciò (o forse proprio per questo) mostrassero uno spirito scherzoso e gioviale, che tradisce la loro gratitudine nell’essere accolti anche e soprattutto in questo periodo festivo. Sono stata inoltre contenta di apprendere che alcuni ospiti siano stati assunti dalla struttura di accoglienza, per svolgere attività interne. Effettuando questo servizio mi è anche sopraggiunta una riflessione sul come le persone incontrate casualmente possano donarti dei momenti di crescita, momenti che permettano di comprendere quanto nella vita quotidiana sia importante la semplicità e l’umiltà e l’essere meno critici sia verso gli altri che verso noi stessi. Jiulia Guglielmetti

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Scuola d’italiano per donne straniere in QuBì Gratosoglio

Nell’ambito del progetto QuBì Gratosoglio, a metà Settembre ho accettato di curare, come volontaria della Scuola per stranieri dell’Associazione Fratelli di San Francesco, un corso di italiano per donne straniere, corso fortemente atteso dalle studentesse e partito in ritardo a causa dell’emergenza sanitaria. Abbiamo iniziato in presenza nell’Oratorio della Parrocchia Maria Madre della Chiesa dove ho conosciuto Suor Agnese, che insieme all’Associazione Piccolo Principe, ha avuto un ruolo importante nel promuovere sul territorio l’iniziativa. Ad inizio novembre a causa del secondo lockdown, il corso è proseguito a distanza, modalità ben accettata da tutte, anche se a volte ha generato alcune difficoltà (brillantemente superate in seguito). Nonostante la distanza siamo riuscite a creare una buona relazione caratterizzata da spontaneità, rispetto e confidenza. Ammiro molto la volontà e la determinazione con cui hanno frequentato il corso: è capitato di vedere qualche donna seguire la lezione e contemporaneamente con dolcezza e pazienza badare ai bimbi, che ovviamente non si possono mettere in “pausa”… La loro motivazione nasce dal desiderio di potersi muovere in autonomia sul territorio, socializzare, trovare un lavoro per contribuire al sostegno familiare: come non capirle? Le ringrazio di cuore del tempo trascorso insieme e faccio il tifo per loro perché possano raggiungere gli obiettivi desiderati: Forza Ragazze!!! Cinzia Conti Guarda l’intervista a Andreina De Franco, coordinatrice dei volontari della nostra Associazione e a Cinzia Conti, volontaria, realizzata da QuBì Gratosoglio

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L’incontro

Una sera di novembre, quando il furgone dell’Unità mobile si è accostato al marciapiede, D. si stava pettinando, con cura: con la mano destra reggeva il piccolo pettine marrone scuro e con la sinistra lo specchio rotondo con il manico di plastica nera. Poi ha sorriso e ci ha salutati stringendoci forte le mani. “Siete in anticipo”, ci ha detto. “Finalmente la pioggia si è interrotta, domani però pioverà di nuovo; le mie coperte sono ancora umide, ma stanotte andrà meglio”, aggiunge, indicando la pila con un paio di materassi, un plaid scolorito e una pesante coperta marrone, un sacco a pelo. I sacchi di plastica e le borse del supermercato delimitano il “suo spazio” sotto la tettoia. “Hanno cercato di rubarmi dei vestiti”, racconta D., “per fortuna mi sono svegliato in tempo”. D. ha poco più di 50 anni, ha occhi azzurri profondi, un fisico ancora muscoloso, ricordo di un lavoro faticoso ma di precisione, un lavoro perso da qualche anno ma che ricorda con orgoglio. “Sono elettricista, lavoravo nei cantieri”. Qualcosa poi è andato storto, non dice mai cosa. Ma D. ha perso quasi tutto in pochi mesi. Il racconto, che abbiamo sentito più volte, si interrompe sempre a questo punto.  Questa “Unità mobile” è uno dei piccoli gruppi di volontari – quattro, cinque persone – della Associzione Fratelli San Francesco che ogni sera, a turno, in una zona diversa di Milano, incontra le “persone senza fissa dimora”, in coordinamento con le Unità delle altre associazioni di volontariato della città. D. conta su di noi, ci guarda negli occhi quando parla, sorride molto. E racconta il suo quotidiano vivere. L’altra sera ci ha raccontato che è riuscito a farsi una doccia ma che vorrebbe cambiarsi i pantaloni, che molti passanti quel giorno gli avevano lasciato pezzi di pizza e tanti biscotti, come se si fossero tutti messi d’accordo, che gli dolgono un braccio e una spalla. È dallo sguardo diretto di D., diretto, a turno, negli occhi di ciascuno dei volontari, che si capisce cosa significhi “contare” su di noi. Per noi volontari è una piccola e intensa gioia, che si rinnova ogni volta.  Avvertiamo, da quegli sguardi di D., come da quelli delle altre persone che incontriamo, che prendersi cura per qualche minuto di queste donne e uomini che vivono per strada significa soprattutto riconoscersi reciprocamente. Riconoscersi come esseri umani in una comunità civile. È un piccolo sforzo emotivo, psicologico e culturale per contrastare l’esclusione sociale, la solitudine forzata, la classificazione che semplifica e colloca le persone ai margini – quelle che troviamo a dormire sotto i porticati o sulle panchine dei parchi della città, che chiedono un aiuto sedute addossate al muro accanto a una vetrina luminosa – le colloca tutte dentro una definizione stereotipata: donne e uomini “senza”. Senza casa, senza lavoro, senza dignità, senza affetti. Invece no. Gli occhi di D. e gli occhi di molti con i quali i volontari delle notti milanesi entrano in contatto, i piccoli dialoghi, le brevi storie che ci raccontiamo, nel caldo afoso di luglio o nel gelido inverno, queste prove di conversazione sono le forme rappresentative – piccole ma concrete – di affetti, di frammenti di storie differenti, di speranze, di ricordi, anche di paure, di rabbia, di disperazione e rimpianti e sensi di colpa. Di un’umanità nella quale, appunto, per qualche minuto, misteriosamente ci riconosciamo tutti. Certo le notti dei volontari delle Unità mobili sono anche piene di persone che dormono all’angolo di una strada e che non svegliamo, di uomini devastati dall’alcol che non sollevano nemmeno la testa, di donne così rabbiose che ci scacciano in malo modo, di giovani così preoccupati di come sopravvivere che chiedono, pretendono con arroganza, una coperta e un paio di pantaloni e che quando ormai le ceste sono vuote, se ne vanno borbottando parole avvelenate. Lo sappiamo, sappiamo che non siamo per strada con la pretesa di “salvare il mondo” o di salvare anche solo qualcuno. Sappiamo che vivere da “senza fissa dimora” è un inferno che non è in nostro potere riscattare. Il nostro è un piccolo aiuto a queste persone ma è anche un grande regalo a noi stessi. Il riconoscimento, le parole, l’ascolto, incorniciano tutto il resto: il cibo che viene distribuito, il tè caldo, le giacche e le coperte, le indicazioni pratiche su come ottenere assistenza in città. E questo riconoscimento, che, è bene ribadirlo, è sempre riconoscimento reciproco, regala ai volontari, a ciascuno in modo diverso – nella consapevolezza del grande freddo sociale del quale non dimentichiamo mai cause e conseguenze – conoscenze ed emozioni che contribuiscono a dare più senso alla vita. Luigi Gavazzi

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