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Esperienza

Pomeriggi al Centro di Accoglienza

Ahmad – un’età compresa tra i 9 e gli 11 anni – mi ripete senza sosta: “Arabo, arabo, arabo!”. Occhi curiosi e sorriso radioso, mi sta dicendo che non parla la nostra lingua e non capisce quello che gli diciamo; allo stesso modo i suoi due fratellini e gli altri piccoli amici. Un gruppetto raccolto nella mensa del Centro di accoglienza straordinaria di piazza Tirana che dopo una veloce merenda cerca di capire che cosa intendono fare questi volontari che si sono presentati in un gelido pomeriggio di dicembre. Ma bastano un paio di scatoloni impolverati a rompere il ghiaccio… Dentro, un albero di Natale che ha visto giorni migliori, palle colorate e festoni. Tutti insieme ci mettiamo al lavoro, addobbiamo l’abete e la mensa del CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria), in un gioco che – a questo punto – non ha più bisogno di parole. Alla spicciolata arrivano altri ragazzi, sono usciti da scuola e raggiungono il centro, si uniscono a noi con matite colorate e disegni, qualcuno mette un po’ di musica. C’è allegria nell’aria e, a fine giornata, Milano sembra un po’ meno fredda e nebbiosa. Sguardi d’intesa, gesti di assenso e risate sincere ci sono entrati fin nel cuore, accendendo un piccola luce di speranza. Unisciti a noi, contatta la segreteria dei volontari al n. 02625455960 per sapere come puoi contribuire Alcuni momenti di gioco con i bambini

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Letture

Quei fantasmi che non vorremmo guardare

Le nostre città, le nostre vie, sono piene di fantasmi. I fantasmi si possono ignorare, prevalentemente; oppure guardare di sfuggita, cercando di definirli, di collocarli in una delle categorie sociali che abbiamo a disposizione: tossicodipendente, alcolista, senza fissa dimora, malato di mente, ex carcerato, mendicante, migrante e così via, magari mischiando un po’ le varie definizioni. I fantasmi in genere ci lasciano in pace se decidiamo di ignorarli o di dimenticarli. Se invece cambiamo punto di vista e proviamo a parlare con un fantasma, proviamo ad ascoltarlo, scopriamo che i fantasmi non esistono. Sono semplicemente donne e uomini cacciati, sospinti, precipitati ai margini, nel gorgo delle vite stentate che ci sfiorano. Giuseppe Rizzo, giornalista di Internazionale, ci aiuta a guardarli negli occhi. Il suo libro si intitola con grande efficacia, “I fantasmi non esistono. Vite morti e miracoli che nessuno vede” (Mondadori, 2021). Usiamo spesso le parole “fantasmi” e “invisibili” per i poveri e gli emarginati, “probabilmente perché sono parole che assolvono chi guarda, spostando le responsabilità e il peso dello sguardo da chi osserva a chi è osservato. Mettono in moto un meccanismo simile a quello che fa pensare e dire che i poveri sono responsabili della propria povertà”. Rizzo, nello stile del reportage narrativo, racconta – senza retorica e molta partecipazione – storie di persone fragili, scivolate ai margini della società, ignorate: a cominciare dai più deboli, coloro che vivono per strada, in inverno con il freddo e nelle estati caldissime. Ma ci racconta, spesso lasciando parlare protagonisti e testimoni e stando loro molto vicino, anche di carcerati ed ex carcerati, di vite sempre al limite delle violazioni della legge, o di un uomo morto di Covid senza che i suoi famigliari sapessero dove fosse finito. E ancora di un “senzatetto” polacco morto in una rissa con altri senzatetto. O del funerale di un povero. E ci ricorda di leggi scritte apposta per punire la povertà, di uno stato troppo spesso assente, e gli “alibi di chi parla di persone invisibili, di fantasmi”. Ma poi ci racconta anche dei miracoli. Di operatori sociali che dedicano ogni tipo di cura ad aiutare, di volontari, di medici, di attivisti e avvocati. Di riscatti, rinascite, speranze, di chi è tornato a prendere in mano, seppur con fatica, la propria vita. Leggete questo libro! Luigi Gavazzi

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Rubrica

Pillole di informatica: Buongiorno vuole risparmiare sulla bolletta?

Ormai non passa giorno senza che qualcuno ci chiami per proporci un nuovo contratto per la fornitura di energia. La maggior parte di noi reagisce indispettito e chiude la comunicazione. E se invece fosse il modo per risparmiare? Come paragonare quanto troviamo nelle nostre bollette con queste mirabolanti offerte? In realtà un modo c’è : Il portale offerte di ARERA (https://www.arera.it/it/portaleofferte.htm). ARERA è l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, un ente dello Stato, e pertanto indipendente dai vari fornitori, che raccoglie i dati delle varie offerte del mercato e dà modo di confrontarle con i consumi reali della famiglia. Avendo sottomano una bolletta di luce o gas il confronto richiede pochi istanti. Infatti nella bolletta sono indicati i consumi annui ed eventualmente quelli per fascia oraria che sono le informazioni essenziali per il corretto paragone. I risultati sono poi indicati in ordine di risparmi decrescenti insieme alle caratteristiche del contratto. In ogni caso come sempre attenzione a non fornire dati sensibili, come il POD il codice identificativo del nostro contatore, a sconosciuti per evitare di trovarsi con contratti sottoscritti a nostra insaputa. Dove trovare in fattura i dati utili per confrontare le offferte LEGGI:Pillola  1: App112 Where are uPillola 2: Salvare e recuperare la rubrica dello smartphoneParte prima: Cellulari con AndroidPillola 3: Salvare e recuperare la rubrica dello smartphoneParte seconda: IphonePillola 4: suggerimenti per usare meglio WhatsApp – Parte 1 Pillola 5: suggerimenti per usare meglio WhatsApp – Parte 2Pillole 6: Natale su pc e smartphone

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Notizie

Un Capodanno coi botti

Come tutti gli anni, anche il 2021 si è chiuso coi botti: non quelli dei fuochi artificiali, ma quelli del COVID, con un numero di contagiati che ha raggiunto, non solo in Italia, valori record. E non si è trattato di “limature” di record precedenti, come avviene nello sport, ma di record stratosferici: i quasi 103 mila contagiati del 31 dicembre, sono circa 5 volte il massimo giornaliero raggiunto nel 2020; per intenderci, è come se sulla terra fosse sceso un marziano e avesse corso i 100 metri, non poco al di sotto del record mondiale (9”58), ma in appena 2-3 secondi! Pochi giorni dopo anche quel record è stato nuovamente “stracciato”, con quasi 175 mila nuovi contagiati nel giro di 24 ore (l’11 gennaio) e nulla ci dice che sia finita qui. L’epidemia non è fatta però solo di contagiati, ma anche di ospedalizzati, in forma più o meno grave, e, soprattutto, di morti. Un valutazione che non voglia essere solo “ad effetto”, o che non voglia dimostrare una tesi precostituita, deve tener conto, a nostro avviso, di tutti questi aspetti, altrimenti, per dirne una, dovremmo metterci a contare, oltre ai morti “per covid”, i morti da attribuire comunque “al covid”: vale a dire tutti coloro che non hanno potuto essere curati, operati, guariti, perché il sistema sanitario, in tutte le sue parti, era impegnato a fronteggiare i contagiati dal covid o perché, ancora peggio, un medico ha dovuto scegliere chi curare e chi no. Abbiamo quindi costruito un primo  grafico (fig. 1) nel quale i vari aspetti della pandemia sono stati rapportati ai valori massimi raggiunti e unificati in un unico indicatore “composito”. Esso mostra, sia in Lombardia che in Italia, soprattutto due cose: la prima è che i valori a fine 2021 non sono comunque i più alti dell’anno in assoluto, segno che l’andamento di altri aspetti ha compensato l’eccezionale crescita dei contagi; in secondo luogo la curva del grafico mostra un andamento stagionale tipico di malattie come influenza, polmoniti, bronchiti e simili, che iniziano a crescere di numero alla fine dell’estate, raggiungono un picco a fine inverno, dopo di che si riducono, per ricominciare a crescere nuovamente a fine estate-inizio dell’inverno successivo. Attenzione, nessun fraintendimento o ambiguità: il covid NON E’ una delle malattie citate, ne ha semplicemente un ciclo di diffusione temporale simile. I picchi di contagi a fine 2021 non hanno quindi nulla di atipico, ma il “marziano” a cui si devono, è semplicemente una variante, venuta questa volta dal Sudafrica, di quella che deteneva il record precedente! Nel secondo grafico (fig. 2) abbiamo messo a confronto, dall’inizio della pandemia a fine 2021, il numero indice dei contagi e dei decessi giornalieri, fatto 100, anche in questo caso, il massimo valore raggiunto: contagi e decessi che sono i due fenomeni “estremi”, possiamo dire, l’inizio della malattia e il suo esito più tragico. Quello rappresentato è il grafico costruito per la Lombardia, ma il profilo delle curve non è molto diverso da quello nazionale. Esso mostra che i contagi giornalieri (linea rossa) raggiungono i valori massimi a fine 2021, mentre i morti alla stessa data (linea blu), non sono nemmeno un decimo rispetto a quelli che si sono avuti nel marzo del 2020. Anche in questo caso, attenzione, ciò non vuol dire affatto che l’epidemia vada presa sottogamba, ma vuol dire che lo scenario è radicalmente cambiato. A cosa ciò sia dovuto non ci è stato però ancora detto per intero:  la spiegazione ufficiale è  la protezione offerta dai vaccini, crescente col numero di dosi assunte; protezioni non tanto dai contagi, ma dalle forme più gravi della malattia; e qui, diciamo la verità, siamo un po’ delusi, perché, soprattutto chi ha una certa età e non ha mai avuto problemi a vaccinarsi, riteneva, una volta vaccinatosi, di non doverci pensare più. Non è così, purtroppo; al 13 gennaio erano state usate in Italia 117 milioni di dosi; tenendo conto di 5-6 milioni di irriducibili no-vax, ogni italiano ha mediamente assunto 2,1 dosi e ci saremmo quindi aspettati un calo drastico dei contagi rispetto all’inverno scorso, esattamente il contrario di ciò che avviene. Ma si tratta solo di immunizzazione parziale (e a tempo) o a questi limiti del vaccino si devono aggiungere gli effetti dell’ultima mutazione? Mutazione molto più aggressiva delle precedenti (perché, ci dicono, colpisce le vie aeree superiori, senza bisogno di arrivare ai polmoni) anche se magari (ma nessuno lo ha detto) con una carica virale meno forte. Insomma, è tutto un divenire, non stupiamoci, e non mettiamo in croce gli addetti ai lavori, perché, come ogni scienziato onesto sa (o dovrebbe sapere) ogni teoria scientifica è valida fino a quando non viene sostituita da una nuova, capace di offrire una spiegazione più completa. Newton non era certo uno sciocco, per essere stato superato, qualche secolo dopo aver scoperto la gravità, da Einstein, che ha scoperto la teoria generale della relatività! Detto ciò, essere un buon scienziato non vuole affatto dire essere anche un buon comunicatore e quindi molti di loro dovrebbero passare più tempo in laboratorio che negli studi televisivi! E’ già un miracolo, secondo chi scrive, che in meno di un anno un vaccino sia stato preparato; non scandalizziamoci quindi se la protezione offerta è ancora parziale, non prendiamo questo a scusa pe non vaccinarci il numero di volte che serve. In fondo anche gli antibiotici di oggi non sono certo quelli di 10 o 20 anni fa, e anche il vaccino dell’influenza va fatto tutti gli anni, no? Bruno Paccagnella Fig. 1 Fig. 2

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Esperienza

Un futuro per Marco

Impegnato, rispettoso, onesto. Sono queste le parole più ricorrenti nei giudizi dei suoi professori. Marco, 19 anni, all’ultimo anno di liceo, è un ragazzo cresciuto troppo in fretta tra un’infanzia difficile e un’adolescenza a tinte cupe. Non si è mai perso d’animo però, anche quando la pandemia gli ha sottratto quei piccoli lavoretti dopo la scuola che gli permettevano di guadagnare qualche soldo per tirare avanti. Con la caparbietà tipica dei giovani che desiderano cambiare il proprio destino, per lungo tempo ha cercato di cavarsela da solo, finché uno dei suoi insegnanti ha chiesto una mano alla nostra Associazione attraverso il Centro di ascolto e – in collaborazione con la Fondazione Isacchi Samaja – ci si è prontamente attivati per ottenere un aiuto allo studio. Appassionato di matematica e fisica, Marco, infatti, vorrebbe proseguire negli studi universitari. Visto il buon rendimento scolastico, ci si augura possa ottenere presto una borsa di studio e un posto letto in un pensionato universitario, intanto ha bisogno di tutto il nostro sostegno. Insieme possiamo contribuire a regalargli un futuro migliore e aiutare Marco a nutrire il suo sogno.

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Letture

Per immaginare un altro Miracolo a Milano

Il 2021 è stato il 70esimo anniversario dell’uscita di un capolavoro del cinema italiano dedicato a Milano e soprattutto ai suoi cittadini che vivono ai margini, i più poveri. È “Miracolo a Milano”, nelle sale nel 1951, sceneggiatura di Cesare Zavattini, regia di Vittoria De Sica. Un film attualissimo anche oggi, perché affronta il tema della povertà e dei “barboni” – come si chiamavano – con le forme artistiche della favola cinematografica e quindi con accenti e toni quasi senza tempo. L’attualità di questo film – il cui il titolo provvisorio era “I poveri disturbano” –  e le riflessioni che induce ancora oggi sono particolarmente importanti per chi ha un’attenzione di cura per le persone meno fortunate, i poveri più poveri, i “senza fissa dimora”, chi vive sostenuto anche dall’assistenza delle istituzioni e delle associazioni di volontariato. Al film di De Sica e Zavattini e alle sue molteplici implicazioni è stato dedicato un libro prezioso uscito da qualche settimana: “Miracolo a Milano. Un omaggio a un film e a una città”. Un libro scritto da autori vari, curato da Gianni Biondillo ed edito da EuroMilano. I diversi interventi delineano un ritratto della città e delle sue mutazioni, soprattutto lungo le linee della dialettica fra sviluppo e emarginazione, fra centro e periferie, fra urbanistica e narrazioni. Un libro che è anche una storia del cinema e della letteratura, dal dopoguerra a oggi, dedicate alla società milanese, con immagini che consentono di delineare una mappa delle trasformazioni, con un occhio sempre attento a chi è in difficoltà, a chi lavora duramente ma anche a chi il lavoro l’ha perduto, a chi dorme per strada, nei ricoveri. Lo sguardo tenero e disincantato nel campo dei barboni di “Miracolo a Milano” – che De Sica fece costruire vicino alla ferrovia a Lambrate, nella attuale via Valvassori Peroni – ci aiuta ad avvicinare ancora oggi in modo empatico e rispettoso della complessità umana chi vive ai margini della società. Avvicinarsi senza pensare di poterne interpretarne i sogni e le ambizioni, le durezze e le sofferenze e le insofferenze, senza pietismo ma con solidarietà e esigenza di giustizia sociale. Nel memorabile finale del film del ’51 i barboni dell’accampamento, arrivati da Lambrate in Piazza del Duomo, usano le scope degli spazzini come strumento magico per volare in cielo, per andarsene in un luogo che non conosciamo. Un finale citato e omaggiato da grandi registi, per esempio da Steven Spielberg in “E. T. l’extraterrestre” che usò le biciclette invece delle scope. Riguardando “Miracolo a Milano” – facilmente rintracciabile in rete – provo a immaginare quale potrebbe essere, oggi, un miracolo come quello immaginato da Zavattini. Luigi Gavazzi

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