Questa volta voglio occuparmi di una filosofa che ci ha lasciati da qualche settimana, colpita dal Covid, Elena Pulcini (1950-2021). Era docente all’Università di Firenze e fra le molte cose che ci ha insegnato, c’è l’attenzione filosofica per la cura, che da anni caratterizzava il suo impegno intellettuale e di ricerca.
Un tema, la cura, che è particolarmente importante per le associazioni di volontariato e che Pulcini ha analizzato e collocato nel quadro ampio dell’etica. Per valorizzare un filone di studi, soprattutto femminile, che ha evidenziato l’insufficienza dell’approccio all’etica fondato solo sulla teoria della giustizia e dei diritti, approccio considerato un po’ astratto e fondato su una considerazione iper-razionale dell’essere umano.
Relazioni concrete
Le filosofie che hanno valorizzato la cura, pur con molte differenze, si fondano invece sulla necessità di introdurre l’attenzione sulle relazioni concrete, sui contesti nei quali queste relazioni si determinano, sul coinvolgimento affettivo, l’attenzione al caso singolo e la preoccupazione per le conseguenze che la scelta di cura nei confronti di alcune persone può avere sulla rete dei rapporti. Il tutto, basato sull’idea che le persone non sono mai completamente autonome e autosufficienti; che sono, anzi, costitutivamente relazionali, coinvolte in una serie di legami che ne determinano l’agire e le scelte.
La vulnerabilità dell’umano
Come ha scritto Pulcini nel suo ultimo libro (Tra cura e giustizia. Le passioni come risorsa sociale, Bollati Boringhieri, 2020): “Emergono così con chiarezza quei fondamenti dell’etica della cura che ho proposto di riassumere nel riconoscimento dell’importanza della dimensione emotiva e della vulnerabilità dell’umano”.
La cosa migliore da fare è ovviamente leggere direttamente quel che ha scritto Pulcini, i suoi articoli, i suoi libri. In particolare l’ultimo, nel quale unisce e rende complementari le prospettive dell’etica e della giustizia normativa con quelle della cura, e considera in modo filosofico il ruolo delle passioni, mai scontato, in entrambe.
La cura buona e “l’altro”
È un libro che ci stimola tutti, anche perché induce a pensare con attenzione e creatività alle attività e relazioni di cura nelle quali siamo coinvolti, considerando quali passioni attiviamo nella cura e come queste passioni abbiano conseguenze sulla qualità della cura, sulla “cura buona”.
Ma ci stimola anche perché ci spinge a considerare la cura rispetto alle “nuove figure dell’altro”: “l’altro distante nello spazio” (lo straniero, il diverso) e “l’altro distante nel tempo” (le generazioni future). Sono sfide importanti e decisive davanti alle quali Pulcini ci aiuta a riflettere e a decidere come includere nella considerazione della nostra cura sia persone che non conosciamo e che incontriamo (o direttamente o ricevendo notizie dal mondo), sia chi verrà dopo di noi. Il tutto considerando che il concetto di cura che ci propone riguarda anche la nostra responsabilità nei confronti del pianeta.
Luigi Gavazzi