Anche noi ci occupiamo della guerra. La terribile guerra di aggressione all’Ucraina da parte dell’esercito russo. Vorrei però guardare alle vittime riflettendo sull’immaginazione necessaria per dare al nostro sguardo uno sfondo morale che sappia vedere con chiarezza dove a volte gli occhi degli altri ci sfuggono.
In guerra vediamo, grazie alla tv e ai social network, soprattutto i corpi. Sono i corpi straziati degli uccisi, quelli vulnerabili dei feriti, e dei profughi affamati e infreddoliti. I corpi sofferenti degli ucraini in fuga li vediamo anche nelle nostre città, accogliamo i rifugiati con amore e cura.
Ma osservando questi bambini, queste donne e questi uomini avvertiamo un disagio: sono corpi con occhi pieni di paura e desiderio. E il disagio è il frutto di una consapevolezza: sappiamo che non sono diversi dai corpi e dagli occhi dei siriani, degli afghani e degli eritrei o dei ghanesi, degli etiopi o dei bengalesi che sono fuggiti dal loro speciale e particolare terrore, dalla loro universale paura della fame o della morte. O dai corpi di chi da anni è stato escluso (o si è sottratto per un caso della vita) dalla vita sociale.
La tragedia dell’Ucraina potrebbe dunque aiutarci a ricordare anche i corpi di uomini, donne e bambini che da mesi, da anni sono vicinissimi a noi. Li vediamo agli angoli delle nostre vie, sotto i porticati del centro, davanti alle mense dei poveri, negli ambulatori delle associazioni di volontariato come la nostra.
Dovremmo usare quella che la filosofa Laura Boella chiama “immaginazione morale” nel suo bellissimo libro del 2012, “Il coraggio dell’etica. Per una nuova immaginazione morale” (Raffaello Cortina Editore). L’immaginazione ci serve per ascoltare le loro storie, per vedere, almeno per qualche minuto, con i loro occhi; per capire cosa sperano e cosa desiderano; chi hanno lasciato, chi attendono. Se la speranza è ancora con loro o se in loro ha vinto lo sconforto e la delusione. Scrive Boella:
“Il lavoro dell’immaginazione ha i tratti dell’esplorazione e insieme quelli dell’esercizio di attenzione, dello scrutare un particolare e metterlo in costellazione con altri elementi, anche disparati. La sua qualità “pittorica” o figurativa, il suo peculiare uso del linguaggio, delle metafore, la predilezione per le storie e per i racconti che ognuno costruisce (o legge o ascolta) sul mondo e sulla vita propria o altrui, il suo irrequieto rapporto con la realtà, libero da vincoli dei fatti e capace di comparazione, di guardare le cose da più lati, di effettuare passaggi tra piani diversi, consente di accedere alla realtà contingente con la capacità di distinguere, di sincronizzare elementi eterogenei, rendendo visibili cose che prima non lo erano”.
Ecco, proviamoci.
Luigi Gavazzi